Giuseppe Zappella, dal calcio di provincia all’avventura in J. League

Nella sua storia, la J. League ha visto scendere in campo molti giocatori occidentali tra cui vecchi campioni europei e sudamericani sul viale del tramonto allettati dagli ingaggi promessi dal campionato giapponese e ormai incapaci di fare la differenza nelle grandi squadre. Infatti, fin dai primi anni novanta, quando il Giappone decise di crescere come realtà calcistica e di affermarsi a livello internazionale, scelse di riempire il proprio campionato di vecchi campioni che avrebbero non solo assicurato spettacolo e vittorie ma consentito di far fare il salto di qualità ai giovani nipponici.

Fra questi stranieri, ci sono stati sei italiani e, vogliamo ricordare un giocatore che non fu un membro popolare come Massaro o Schillaci che avevano vinto numerosi trofei tra campionato, coppa dei campioni e Mondiale, bensì un giocatore proveniente dal calcio di provincia: stiamo parlando del difensore Giuseppe Zappella che, dopo aver collezionato varie presenze con le maglie di Como e Monza, arrivò in Giappone per giocare con l’Urawa Red Diamonds nel 1998.

Nato a Milano e cresciuto nelle giovanili del Milan, tra tanti campioni e potenziali giovani stelle, lasciò la provincia lombarda per accettare l’opportunità di giocare in un calcio professionistico neonato qual’era la J. League in quegli anni. Divenne così il terzo italiano a giocare in Giappone dopo Salvatore Schillaci e Daniele Massaro che giocarono rispettivamente al Jubilo Iwata e allo Shimizu S-Pulse. L’offerta da parte del club giapponese venne fatta nel dicembre del 1997 e, l’agente del giocatore milanese gli disse che c’erano soltanto pochi giorni per decidere. Alla domanda secca “Andiamo o no?”, Giuseppe ne andò a parlare con la moglie: non ci furono molti dubbi, era un’occasione professionale che dovevano cogliere.

Così, nell’estate del 1998, mentre si trovava tranquillamente in vacanza, dopo pochi giorni dal rientro, lasciò l’Italia per volare a Tokyo con la consapevolezza che gli unici due italiani che erano stati in Giappone prima di lui rappresentavano grandi nomi e perciò gli fu riservata un’accoglienza piena di entusiasmo. L’Urawa Reds, era ed è sempre stata una grande squadra, una delle più seguite e titolare della J. League, più volte campione sia a livello nazionale che continentante e supportata da Mitsubishi. Ma, quando Zappella si trasferì in Giappone, il club con sede a Saitama, non se la passava bene. Tuttavia, la prima cosa che diede nell’occhio all’ex Monza furono gli uffici, il negozio ufficiale e il centro di formazione della squadra, tipico di un top club. Lo stadio dove giocavano, era ancora il vecchio “Urawa Komaba Stadium”; si trasferirono al Saitama Stadium soltanto nell’ottobre 2001, visto che il nuovo stadio era ancora in costruzione in vista del Mondiale di casa che si sarebbe tenuto nel 2002. Quell’anno, le tre favorite per la vittoria finale in campionato erano Jubilo Iwata, Kashima Antlers e Yokohama Marinos. In quanto ai Reds invece, avrebbero avuto qualche problema di troppo nel competere per la vetta. Inoltre, venne esonerato l’allenatore Hiromi Hara, una leggenda per l’Urawa Reds e anche per la nazionale giapponese con il quale giocò dal 1978 al 1988 segnando 37 reti. Al suo posto venne scelto l’olandese Aad de Mos ma, i suoi metodi erano troppo duri per i giocatori giapponesi.

Quell’anno, l’Urawa Reds non solo incontrò complicazioni nel lottare per il titolo finale ma addirittura per evitare la retrocessione. Giuseppe Zappella lasciò il club alcuni mesi prima della disfatta ma, nelle sue 21 presenze in campo, dove ebbe modo di segnare anche 3 reti, rimase sorpreso nel vedere con quanta passione i tifosi seguirono la squadra, soprattutto in trasferta. Le cause della retrocessione, secondo Zappella, riguardarono molto l’esonero di mister Hara. “Hara-san era una leggenda, una persona meravigliosa”, dichiarò il difensore “Non capivo il giapponese, ma il suo profilo è stato visto come una guida nel club: quando ho guardato i volti dei miei compagni di squadra, ho subito capito il rispetto che provavano per lui. C’era una piena fiducia in lui ed ero davvero felice di essere stato scelto da un uomo simile”. Infatti, a dare il via libera alla firma dell’italiano con la squadra, fu proprio Hara che lo scelse come rinforzo necessario alla squadra in vista di una stagione dove ci sarebbero state non poche difficoltà.

Hara era stato una leggenda per il calcio giapponese, durante gli anni ottanta dove la nazionale non si qualificava ancora al Mondiale e neppure alla Coppa d’Asia. La prima qualificazione alla competizione asiatica arrivò nel 1988, annata in cui Hara lasciò la nazionale. Inoltre, quell’anno la federazione nipponica decise di convocare la squadra giovanile in segno di una protesta contro il paese organizzatore, rinunciando quindi all’impiego di stelle quali l’ormai anziano Okudera e lo stesso Hara e lanciando invece un giovane Masashi Nakayama.

Hiromi Hara con la maglia del Giappone contro la Cina

Non solo Hara però, Zappella ebbe la possibilità di giocare insieme ad altre leggende come Shinji Ono e Masayuki Okano. Entrambi avevano preso parte al Mondiale francese e, il primo sarebbe volato in Olanda per giocare con la maglia del Feyenoord. Poi c’erano anche celebrità straniere come Txiki Begiristain. “Shinji Ono era un giocatore unico”, racconta ancora Zappella “Usava entrambi i piedi con lo stesso effetto, aveva la visione del gioco. Era bravo sotto porta e ancora meglio con gli assist, ma la cosa che mi ha colpito di più è stata la sua umiltà. Raccoglieva tutte le palle usate in allenamento dopo la fine della sessione: un comportamento impeccabile sia con lo staff che con i membri del club, ed era sempre disponibile a farlo senza che nessuno glielo dicesse”.

“Ma Ono non era l’unico”, ricorda Zappella “Anche Begiristain poteva competere in umiltà con Ono! All’inizio non ci credevo: un giocatore che ha vinto tutto eppure non era mai arrogante. Sempre disponibile a insegnare qualcosa agli altri, sempre lì per te e per la squadra. Ho un bel ricordo anche con l’altro giocatore straniero, Zeljko Petrovic”.

Tra le impressioni avute in Giappone, Zappella ricorda il modo in cui il calcio veniva vissuto dai tifosi, più leggero rispetto a quello occidentale, visto più come un intrattenimento sportivo. “Ricordo la prima partita: niente polizia, solo steward. I tifosi condividevano gli stessi mezzi pubblici per andare allo stadio, solo all’interno dello stadio c’era un settore dei tifosi in trasferta, ma non era così controllato come in Italia. Abitavo nel centro di Tokyo: per raggiungere gli allenamenti dell’Urawa Reds prendevo l’autobus, dieci minuti di viaggio, mai in ritardo! In Italia dovevo prendere l’auto, in Giappone invece i mezzi di trasporto alternativi, come anche la metropolitana, erano sempre disponibili e in orario”. Ogni giorno era un’esperienza unica: così commenta Zappella quell’annata trascorsa in Giappone.

Come abbiamo detto, solo un anno. Nell’estate del 1999 lasciò Saitama per ritornare in Italia. Questo a causa dell’esonero di Hara e dell’arrivo di de Mos che gli disse apertamente di essere interessato ad altri giocatori stranieri ma, visto che i posti per i membri non giapponesi avevano un massimo di tre per squadra, Zappella non fece ostruzione al nuovo allenatore e decise di tornare in Italia accettando la proposta dell’Avellino. Ma questo lo portò ad avere un rammarico: anziché accettare di ritornare in Italia, avrebbe potuto concedersi a un’altra squadra giapponese, qualsiasi, perché lì stava veramente benissimo.

A distanza di più di vent’anni, solo altri tre giocatori italiani sono stati in Giappone: il portiere Maurizio Licata, il difensore Desmond N’Ze e Michele Canini, quest’ultimo chiamato dal connazionale allenatore Massimo Ficcadenti, in quegli anni sulla panchina dell’FC Tokyo. Quella di giocare in Giappone, per Zappella rimane un’esperienza fantastica, un consiglio o meglio un invito ai giocatori di oggi, soprattutto quelli dei campionati inferiori, a testare ogni possibile esperienza in Sol Levante oltre che imparare la lingua. “Riguardo al Giappone… beh, mia figlia è nata a Tokyo. Qualsiasi altra cosa sarebbe superflua”.

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