L’Agonia di Doha

Gli anni ’90 hanno simboleggiato l’ascesa calcistica del Giappone: nel 1992, con la creazione della J. League, che andò a sostituire l’amatoriale Japan Soccer League come massima divisione del calcio nipponico, inizia l’era del professionismo. Le squadre cambiano nome, logo e colore sociale e gli spettatori aumentano. Ma, a far esplodere definitivamente la passione ci pensa la Nazionale, allenata dall’olandese Hans Ooft, con la prima storica vittoria della Coppa d’Asia, organizzata in casa, vincendo 1-0 contro l’Iran, 3-2 in semifinale contro la Cina e battendo in finale l’Arabia Saudita per 1-0 grazie a una rete dell’attaccante Takuya Takagi. In tutto il paese si diffonde la consapevolezza di poter raggiungere un livello calcisticamente più prestigioso abbattendo l’ultimo vero grande ostacolo, ovvero la partecipazione alla Coppa del Mondo F.I.F.A, un traguardo fino a quel momento mai conseguito dai Samurai Blue. L’occasione arriva nel 1993 partecipando al girone di qualificazione al Mondiale di USA 1994 dove il Giappone si piazza al primo posto senza subire neanche una sconfitta accedendo al turno successivo. Qui però il cammino incontra una sconfitta per 2-1 contro l’Iran dell’ex Bayern Monaco Ali Daei. Tuttavia, la squadra di Ooft aggiusta la classifica e il 28 ottobre, in pieno possesso del suo destino, arriva all’ultimo match contro l’iraq: costretta a vincere, con qualunque risultato, per accedere per la prima volta alla fase finale del Mondiale americano.

Il Giappone campione d’Asia vuole la qualificazione al Mondiale di USA ’94

La partita, affidata all’arbitro svizzero Serge Muhmenthaler, si gioca su campo neutro a Doha, in Qatar. Le due avversarie fanno il loro ingresso davanti a 4.000 tifosi presenti allo stadio Hamad Khalifa. Visto che non vi è alcuna defezione dovuta a infortuni o squalifiche, Ooft schiera i migliori undici dell’intero arcipelago: P. 1 Shigetatsu MATSUNAGA; D. 4 Takumi HORIIKE, D. 5 Tetsuji HASHIRATANI, D. 7 Masami IHARA, D. 3 Toshinobu KATSUYA; C. 15 Mitsunori YOSHIDA, C. Hajime MORIYASU, C. 10 Ruy RAMOS; A. 12 Kenta Hasegawa, A. 16 Masashi NAKAYAMA, A. 11 Kazuyoshi MIURA.

Kazuyoshi Miura in azione affronta il difensore iraqeno Radhi Shnaishel Swadi

Dopo nemmeno cinque minuti, il Giappone trova la rete del vantaggio con la girata dell’attaccante Masashi Nakayama detto “Gon” che all’interno dell’area di rigore iraqena appoggia di piatto sinistro un assist per il centrocampista Kenta Hasegawa che sferra d’istinto un tiro a cogliere la traversa e il rimbalzo della palla spiove verso il centro dove Kazu Miura, stella del Tokyo Verdy, Imperatore della Nazionale e prossimo a sbarcare in Serie A con la maglia del Genoa, sfrutta le sue doti di inserimento anticipando Hussain e insaccando l’1-0 alle spalle del portiere Salim Saad. In panchina, dov’è presente anche la riserva ed eroe della Coppa d’Asia 1992 Tsuyoshi Kitazawa, scoppia la gioia. L’iraq, allenato da Baba Ammo, prova a rispondere ma le sue conclusioni non spaventano i Samurai Blue che alla fine dei primi 45′ si possono concedere un tè caldo in vantaggio.

La ripresa non si dimostra diversa, a tal punto che i giapponesi si rilassano finendo per dare ossigeno agli avversari che trovano una rete che viene annullata per fuorigioco; una campanella d’allarme che il Giappone sottovaluta e al 54′ arriva per davvero la rete del pareggio: l’azione si sviluppa sulla fascia destra con Mushin che lancia in area uno spiovente verso il capitano Radhi che, pressato da due avversari, stoppa di petto, mette palla a terra e infila di destro nell’angolo alla sinistra di Matsunaga. Il pari mette a nudo la vulnerabilità dei giapponesi che iniziano a subire le incursioni avversarie. Il Giappone proprio non c’è e più volte rischia di raddoppio dell’Iraq. All’80’ però, King Kazu Miura lavora un pallone a centrocampo servendo il brasiliano naturalizzato giapponese Ruy Ramos che verticalizza avanti per Nakayama che insacca di prima intenzione alle spalle del portiere Salim Saad: 2-1 e il Giappone è a dieci minuti dal prenotare un volo per gli States. I tifosi arrivati dal Sol Levante esultano talmente tanto da galvanizzare il loro difensore Yoshida a sfiorare la rete del 3-1. Risultato dunque non ancora in cassaforte e Matsunaga che prova a perdere tempo beccandosi un’ammonizione dall’arbitro. All’85’, tutto il Giappone, sia quello dei tifosi presenti allo stadio che quello a casa dietro i teleschermi, trema; l’Iraq sfiora il pareggio ma Horiike salva in corner. All’89’ Ramos ha l’occasione di chiuderla ma opta per un passaggio in direzione Miura che viene anticipato da Mushin che salta netto Katsuya e spara un missile sul primo palo che Matsunaga devia energicamente in angolo. Il Giappone è stanco e spaventato, se ne accorgono tutti, compreso gli iraqeni che non hanno più scuse per non riuscire a fare bella figura e a non mostrarsi debole agli occhi del loro dittatore Saddam Hussein che, in un clima di terrore e violenza psicologica, pretende un paese glorioso. Siamo oltre il 90′, a battere il corner va Laith Hussein, tocco corto per Hassan, i Samurai Blue tutti in area a fare da muro, il giocatore iraqeno scende verso la porta e l’unico che va a contrastarlo è Miura che viene però saltato con una finta. Cross in mezzo, Salman ci arriva di testa e infila di precisione la rete del pareggio. Cala il gelo sulla tifoseria nipponica e nel silenzio tombale del campo, Ramos e Miura si guardano senza parole mentre tra i compagni c’è chi crolla a terra e chi vaga incredulo. Il gioco riprende solo per fischiare la fine della partita: il Giappone è ufficialmente fuori dai giochi e i suoi giocatori non riescono più a parlare. Il tenico Ooft prova a consolare i suoi ragazzi ma il tormento è devastante. Anche i telecronisti non sanno cosa dichiarare. In studio, quei pochi che provano a dire qualcosa, lo fanno con lo sguardo basso nascondendo la delusione. Il fallimento brucia troppo, soprattutto per via della rivale Corea del Sud che si qualifica al Mondiale grazie al pareggio ottenuto dai giapponesi. La partita sarà ricordata per sempre in Giappone come “Doha no higeki” (Agonia di Doha) mentre i sudcoreani la riportano come il “Miracolo di Doha”. Tutt’oggi, i tifosi giapponesi, nel sostenere la loro nazionale durante le qualificazioni, non dimenticano di intonare alla squadra a crederci fino alla fine attraverso il coro “Doha wa sureruna” (Non dimentichiamoci di Doha). A circa un mese di distanza da quel fine ottobre, durante le qualificazioni europee accadde un episodio che fu in un certo senso di conforto al Giappone poiché anche una nazionale occidentale, la Francia, venne meno nella partita decisiva contro la Bulgaria dove invece di conservare il vantaggio, regalò palla tramite un cross a vuoto alla Bulgaria che sfruttò il contropiede per segnare il pareggio e sottrarre ai francesi il biglietto per USA94.

“Cadi sette volte, rialzati otto”, così recita un proverbio giapponese. Non importa dunque, quante volte si affronta la caduta, l’importante è tirarsi su e andare avanti. Questo pensiero è presente in diversi aspetti della cultura del Sol Levante, dalla scuola, al mondo del lavoro, agli sport, alle arti marziali. Il problema è che spesso ci si fa scoraggiare dai propri errori ma la resilienza significa invece sapere imparare da ogni situazione difficile. Da allora la nazionale di calcio del Giappone è cresciuta tantissimo: la prima qualificazione al Mondiale arrivò nell’edizione seguente, quella del 1998 in Francia e da lì in poi, i Samurai Blue hanno sempre partecipato alla Coppa del Mondo incontrando ostacoli più avanzati, come quello degli ottavi di finale, trovando puntualmente la sconfitta nel 2002 contro la Turchia per 1-0, ai calci di rigore contro il Paraguay nel 2010 e in rimonta per 3-2 contro il Belgio nel 2018, tre beffe che hanno apparentemente demolito il morale della nazionale rendendola invece più matura e preparata. Il Giappone, campione d’Asia per quattro volte (1992, 2000, 2004 e 2011), medaglia d’argento alla Confederation’s Cup 2001 e con molti giocatori che militano in campionati europei di prestigio come quello tedesco, francese, spagnolo, inglese e olandese, non molleranno mai, fino al prossimo traguardo, i quarti di finale, e al grande sogno, quello di diventare la prima nazionale asiatica a vincere un Mondiale.

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